Tutelare l’identità dei luoghi.
Essere aperti all’innovazione, sopratutto sotto il profilo della sicurezza antisismica e del consumo energetico, ma senza stravolgere il territorio.
L’architetto modenese Carla Ferrari conosce bene la realtà della Bassa colpita dal terremoto, anche perché ha curato gli strumenti di pianificazione urbanistica di San Felice e Bomporto.
La professionista collabora da anni con il professor Giuseppe Campos Venuti, autore del piano regolatore di Modena del 1965, con il quale attualmente sta lavorando al Psc e Rue di Rimini e Cervia.
Dal 30 maggio l’architetto sta collaborando come volontario, presso il Coc (Centro Operativo Comunale) del Comune di San Felice e ha contribuito a realizzare una cartografia che identifica gli ‘aggregati edilizi per il rilevamento del danno’ e che viene utilizzata dalle squadre di tecnici che si recano di casa in casa per verificare i danni.
Anche se siamo ancora in piena emergenza post-terremoto la riflessione sulla ricostruzione, e sui principi che dovranno guidarla, è già in corso.
Per l’architetto, la priorità, in questo momento, è censire le abitazioni inagibili in modo da determinare il numero di Moduli abitativi provvisori (Map) che saranno necessari per ospitare le famiglie, in attesa che vengano recuperate o ricostruite le loro abitazioni.
«E’ necessario completare il censimento dei danni.
Quando sapremo quante case inagibili ci sono sapremo anche quanti alloggi temporanei programmare, in attesa del recupero degli edifici».
Sulle modalità della ricostruzione l’architetto non ha dubbi.
«Per i centri storici vale il principio che gli edifici si dovranno ricostruire come erano prima e dove erano prima.
Se perdiamo i centri storici perdiamo l’identità dei luoghi.
Già abbiamo subito un danno enorme con il crollo di molti edifici rurali, distrutti o seriamente danneggiati dal sisma, che non sono recuperabili e dovranno essere completamente ricostruiti.
Dobbiamo prendere atto del fatto che il paesaggio delle nostre campagne di pianura, così com’era, è perduto per sempre.
Nelle zone urbane attorno al centro storico, che costituiscono i tessuti consolidati, si deve ricostruire ciò che c’era prima, lì dov’era, ma non per forza esattamente come prima.
Si dovrà incentivare, in tutti modi possibili, il recupero/consolidamento ovvero la ricostruzione degli edifici esistenti, lì dove sono, poiché il loro abbandono provocherebbe lo svuotamento di parti significative del tessuto urbano, impoverendolo e destinandolo necessariamente ad un degrado fisico, oltre che funzionale».
Il recupero non preclude l’innovazione.
«Anche gli edifici storici possono essere ricostruiti con tecniche antisismiche e e con ottime prestazioni di efficienza energetica.
Questa è un’opportunità che deve essere colta in tutti gli edifici che andranno ricostruiti».
Le associazioni di categoria degli agricoltori stanno chiedendo deroghe alle leggi regionali e comunali che impongono di ricostruire gli edifici rurali esattamente come erano: con le stesse metrature, gli stessi materiali e identiche tipologie.
Una richiesta rispetto alla quale l’architetto pone alcuni punti fermi.
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La ricostruzione si profila dunque come opportunità e rischio al tempo stesso.
Opportunità di fare meglio di prima, rischio di arrecare danni duraturi al territorio.
Parlando di ricostruzione è spontaneo chiedersi a chi spetta la pianificazione.
«Per fortuna siamo in presenza di territori già pianificati - risponde l’architetto - Può darsi che il terremoto introduca dei cambiamenti in termini di popolazione o attività economiche, ma è presto per fare scelte radicali.
Credo che quello che si può fare oggi è fare un ‘Poc (Piano operativo comunale) della ricostruzione’.
Questo strumento attiva aree del Psc, il Piano strutturale comunale, nel quale sono già definite le linee di sviluppo urbano e anche eventualmente i luoghi dove sarebbe possibile collocare i moduli provvisori».
Il presidente dell’ordine degli Architetti di Modena, Claudio Gibertoni, ha auspicato che nella fase di ricostruzione emerga una capacità progettuale sovracomunale, che magari porti a una riflessione sulla possibile ridefinizione dei servizi, quali scuole e ospedali, o addirittura a un ripensamento delle frazioni, dato che alcune avevano già mostrato segni dei depauperamento prima del sisma.
«Credo che queste scelte - dice l’architetto Ferrari - debbano essere discusse a livello sovracomunale, nelle Unioni comunali che raggruppano molti dei territori colpiti dal sisma».
Nel dibattito sulla ricostruzione c’è un aspetto, per ora in ombra, che verrà posto.
Sarà possibile introdurre elementi di architettura contemporanea anche in centri storici? Magari per lasciare un segno evidente della frattura con il passato che comunque, piaccia o no, c’è stata? «Non lo escludo - conclude l’architetto Ferrari - ma tenga presente una cosa: l’edificio noto come ‘Ginger e Fred’ di Praga, realizzato da Gehry o il Beaubourg di Parigi di Renzo Piano sono collocati in tessuti storici.
Quello che rende così interessanti questi edifici moderni e che li fa risaltare è che sono elementi singolari che spiccano proprio perché collocati in un contesto di edifici storici».
nJacopo Della Porta
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