Genova
L’accusa è quella di aver fatto delle multe con degli autovelox non segnalati, contrariamente a quanto risulta nei verbali, allo scopo di evitare i ricorsi
La vicenda ha inizio nell’estate del 2010, quando i due agenti dell’Autoreparto della polizia municipale intercettano una Toyota Yaris nel corso di un appostamento in corso Europa. Al volante c’è un sessantenne, che supera la velocità consentita (60 chilometri orari) e viene fotografato dalla macchinetta mentre tocca i 79 chilometri orari.
Non c’è possibilità di fermare l’auto, sostengono i vigili, così la sanzione viene inviata per posta. A questo punto il multato presenta un primo ricorso, rivolto al Prefetto di Genova. È vero che non c’erano cartelli fissi, replicano gli agenti, ma la pattuglia ne aveva posizionato uno mobile poco prima dell’autovelox.
È abbastanza per la Prefettura e la controversia, per il momento, finisce lì. Ma l’automobilista non ci sta, e fa un altro tentativo, al giudice di pace. Un “appello” che accompagna a una denuncia penale, presentata al commissariato di polizia di Nervi, dove si chiede anche l’accesso agli atti. La replica del Comune sembra andare nel senso voluto dall’automobilista: le prove di quei cartelli, a quanto pare, non sarebbero così evidenti.
È a questo punto che il magistrato ritiene di avere elementi sufficienti per aprire un’inchiesta. L’ipotesi è che i vigili abbiano “aggiustato” i documenti a corredo di una sanzione che altrimenti sarebbe stata esposta a un ricorso.
Il Secolo XIX
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