lunedì 23 ottobre 2017

ITALIANI BRAVA GENTE



MASSA CARRARA -Mohammed, nome di fantasia che usiamo per tutelare l’identità di chi ci racconta questa storia, non è concesso nemmeno quest’orizzonte. Il sole gli sorride solo nelle pause per fumare una sigaretta, l’estate lo ha assorbito a tempo pieno, affaccendato tra un tavolo da preparare e un caffè da servire. Ritmi altissimi in uno dei più affollati centri turistici della costa apuana. Uno di quelli che fa grandi numeri e di conseguenza carichi di lavoro intensi, senza troppo tempo per rilassarsi.

Passa la selezione all’inizio di luglio. La trafila per l’assunzione è quella classica: si cerca del personale, cameriere di sala, richiesta flessibilità, il contratto dura tre mesi. E, ovviamente, c’è un periodo di prova prima di firmare il contratto.

Pronti, via. Mohammed supera la valutazione senza problemi. Non è troppo attento ai dettagli quando gli spiegano del contratto: ha diciannove anni, primo impiego dopo la maturità. È solo felice perché ha trovato un lavoro e si prepara a farlo bene. La prospettiva di un reddito fisso per qualche mese lo mette di buon’umore.

Per questo non gli è chiarissimo cosa significhi quando, al secondo giorno di prova, il datore di lavoro lo convoca per fargli firmare delle carte. Afferra confusamente che si tratta di dimissioni, ma gli spiegano che sono una cosa interna: gli parlano di controlli o questioni legate alla registrazione. Quello che gli importa è che non lo mandino a casa, non può perdere il posto conquistato appena due giorni prima. E in effetti questo non succede. Aveva avuto qualche dubbio dopo quella convocazione, una notte piena di pensieri, ma la mattina dopo, quando torna a lavoro, scopre sollevato che non è cambiato nulla. Ordina, apparecchia, prende le comande (le ordinazioni), dà una mano a pulire. Tanta ansia per nulla. E così nella routine di ogni giorno quella lettera firmata svanisce poco a poco dai pensieri, lasciando posto alle incombenze e a un’estate in divisa da sala invece che in costume. Con uno stipendio in tasca.

I soldi arrivano ogni mese, regolari. C’è una certa pressione sul personale e ogni tanto capita di dovere fare delle ore in più. Mohammed è un lavoratore disponibile, non chiede troppo, sta al suo posto e se c’è da stare un po’ di più dice sempre sì. I soldi arrivano sempre, ma non gli vengono versati sul conto. Lo pagano “fuori busta”, in nero. Ancora una volta lui non ci fa molto caso, la paga è quella promessa al primo colloquio e tanto basta. Non è ricca, ma a lui serve per campare.


Finita la stagione arriva altrettanto puntuale la fine del rapporto di lavoro. Assunto a tempo determinato, Mohammed se ne va insieme ai turisti. Sa però che ha diritto al sussidio di disoccupazione. Si fa aiutare e presenta domanda telematica all’Inps, tutto secondo procedura. Qualcosa però non funziona, è come se il suo periodo di lavoro non risultasse nel sistema. Va al centro per l’impiego a chiedere spiegazioni. Quello che gli spiegano lo lascia senza parole.

Il suo contratto è durato due giorni. Sulla scheda c’è il nome e la data di inizio del contratto, 8 luglio, e quella di fine, il 16. Sarebbe la settimana di prova. Ma c’è anche quella di cessazione: 9 luglio, due giorni. In termini di legge, è stato un fantasma. Ha servito ai tavoli per tre mesi ma non è mai stato assunto. Quel giorno in ufficio ha effettivamente firmato le sue dimissioni in bianco, che la cooperativa ha registrato senza dirglielo. Il contratto è una farsa, con due giorni in prova non ha diritto ai contributi né al sussidio. Lo ha dovuto scoprire da solo. Gli rimane il foglio con la data di inizio e fine del contratto, sopra gli sembra di leggere: «Benvenuto nel mondo del lavoro».( iL TIRRENO )

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