mercoledì 27 febbraio 2013

DON VIRGINIO COLMEGNA :RIFLESSIONI


 Don Virginio Colmegna                                                                                                                                                                                           Ha vinto l’ingovernabilità. Lo dicono in molti, commentando il risultato elettorale. Forse è così, ma, tra le tante riflessioni possibili, forse è opportuno rileggere la volontà popolare anche in un’altra chiave. Molti elettori, tra cui giovani e famiglie che fanno fatica a tirare la fine del mese, si sono espressi in modo “radicale”, votando in un certo modo o non votando affatto. Hanno chiesto in modo chiaro che la politica tenga conto della loro fatica e che i rappresentanti dialoghino quotidianamente con loro. Hanno gridato che la loro sofferenza non venga strumentalizzata e poi abbandonata. Hanno affermato, con forza, che il tenore di vita dei politici non deve offendere la loro fatica di vivere.
Queste persone hanno chiesto radicalità innanzitutto nel rompere con i privilegi della politica: i nuovi eletti non devono arricchirsi grazie alla loro attività politica, stipendi compresi, ma conquistare sobrietà. Non solo, devono rompere con ogni clientelismo e con ogni favore legato al potere: bisogna portare la legge sul conflitto d’interessi su di un piano soggettivo. Il tenore di vita ha, in sé stesso, una valenza politica. E le grandi tradizioni culturali della nostra storia politica devono interrogarsi, in maniera profonda, sul perché abbiano legittimato una situazione ormai insostenibile e abbiano tardato a denunciare tutta una serie di intrecci.
Su questi temi, la radicalità che è entrata nelle urne deve cominciare a influenzare anche i processi formativi, siano essi portati avanti in maniera diretta o mediata grazie ai nuovi strumenti di comunicazione. Per troppo tempo, interessi lobbistici, compromessi sui valori e comportamenti opachi hanno messo da parte le virtù civiche e non solo. Il fatto che chi si impegna in politica non sia imputato o rinviato a giudizio è una richiesta esplicita che questi risultati elettorali hanno portato all’attenzione di tutti. Non bisogna marchiarla come giustizialista, ma capire che nasconde una richiesta ben precisa, quella che l’onestà diventi una premessa necessaria alla credibilità politica.

Sono domande urgenti, alle quali bisogna rispondere in tempi brevi, pur restando consapevoli che, da un lato, sono portatrici di un eccesso di moralismo e non sono la soluzione a tutti i problemi del nostro paese e che, dall’altro, l’azione di governo è ben più complessa e si dovrà confrontare anche con ben altre problematiche. 
Ciò nonostante, si può cominciare anche così. Poi, però, dovranno tornare a trovare spazio le competenze. Serviranno anche luoghi di elaborazione partecipata, nuovi meccanismi per i partiti, compresi quello del finanziamento pubblico che va affrontato subito.
Nonostante tutto, quindi, non riesco a dirmi pessimista, nemmeno dopo questo scossone. Bisogna rilanciare un’idea di politica che sia portata avanti da persone così tanto appassionate del bene comune da rendere di nuovo famigliare ai nostri cittadini la parola gratuità. Si sente l’urgenza di stare nel mezzo delle sofferenze della gente e per farlo davvero non si può che ripartire proprio dalle politiche sociali.

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