Il 24 agosto la Guardia Costiera libica ha aperto il fuoco contro la Ocean Viking per venti interminabili minuti.
A bordo c’erano 87 persone appena soccorse.
È stato un atto terroristico deliberato: hanno colpito radar, scialuppe e ponte di comando.
Hanno messo a rischio l’equipaggio e i sopravvissuti.
Oggi, quattro giorni dopo quell’attacco, il nostro team è ancora bloccato a bordo ad Augusta.
Le autorità italiane hanno imposto un isolamento forzato per presunti protocolli anti-tubercolosi, nonostante:
– Il nostro team medico abbia subito individuato e isolato l’unico caso di tubercolosi registrato tra i sopravvissuti,
– le procedure adottate siano incoerenti con gli standard internazionali,
– il rischio di contagio fosse praticamente inesistente.
Il risultato è drammatico: 34 persone — soccorritori e marittimi — restano prigioniere sulla nave.
Questa misura non solo è inutile dal punto di vista medico, ma è anche una violenza aggiuntiva: impedisce al team di ricevere l’assistenza psicologica e sanitaria di cui ha bisogno, costretto a rivivere il trauma dell’attacco armato proprio nel luogo in cui si è consumato.
È un nuovo, inaccettabile tentativo di ridurci al silenzio.
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