Ti scrivo dopo un periodo molto difficile, durante il quale abbiamo visto una forte diminuzione di pazienti qui in ospedale a causa della grande insicurezza in cui versava il Paese. Per paura dei combattimenti, molte persone avevano lasciato il Panshir, che per diversi giorni è rimasta l’unica provincia a non essere sotto il controllo dei talebani.
Il nostro Centro è rimasto sempre aperto e pronto ad accogliere chi ne aveva bisogno. Come quella donna arrivata nella seconda metà di settembre da una zona remota del Panshir: ha dato alla luce il suo bambino con parto naturale, ma subito dopo ha avuto una grave emorragia che ci ha costretto a riportarla di nuovo in sala operatoria e ad asportarle l’utero. Se non avesse saputo che il nostro Centro di maternità continuava a essere aperto e non avesse potuto contare sulle nostre cure, questa mamma afgana sarebbe sicuramente morta.
Ora l’afflusso dei pazienti è lentamente ricominciato, sia nella maternità, sia nel Centro chirurgico e pediatrico: certo, siamo lontani dal numero usuale di accessi, ma i pazienti stanno ricominciando ad aumentare. La maggior parte delle pazienti che stanno arrivando in questi giorni al Centro di maternità provengono dalle province vicine di Kapisa e Parwan.
Anche le nostre colleghe afgane, dopo alcuni giorni di difficoltà negli spostamenti, vengono regolarmente al lavoro tutti i giorni. La situazione è ancora incerta, ma ci auguriamo di tornare ai nostri ritmi di cura: fino allo scorso mese di luglio, infatti, facevamo circa 900 visite e 120 parti a settimana, mentre nell’ultima settimana di agosto abbiamo visitato circa 270 donne e fatto nascere soltanto 70 bambini. Un lavoro che resta fondamentale in un Paese che ha uno dei tassi di mortalità neonatale e materna più alti del mondo.
Grazie, |
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