L'azienda, dietro lauti corrispettivi, ritirava i fanghi prodotti da numerosi impianti pubblici e privati di depurazione delle acque reflue urbane ed industriali, da trattare con un procedimento per igienizzarli e trasformarli in sostanze fertilizzanti.
Ma invece di seguire la procedura, per massimizzare i propri profitti, la ditta ometteva di sottoporre i fanghi contaminati al trattamento previsto e anzi vi aggiungeva altri inquinanti come l’acido solforico, prodotto dal recupero di batterie esauste. Infine, per disfarsi di questi rifiuti e poter continuare il proprio ciclo produttivo fraudolento, li classificava come 'gessi di defecazione' e li smaltiva su terreni destinati a coltivazioni agricole situati a Milano, Brescia, Mantova, Cremona, Pavia, Lodi, Como, Varese, Verona, Novara, Vercelli e Piacenza, retribuendo a questo scopo sei compiacenti aziende agricole conto terzi (cinque bresciane ed una cremonese).
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