sabato 26 novembre 2016

PERCHE' SI VUOLE ABOLIRE IL CNEL !

Cnel, perché al governo fa comodo abolirlo

La Costituzione italiana, all’art. 99, ha previsto il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro quale organo ausiliario dell’attività politica dello Stato in campo economico e sociale, con lo scopo di assicurare uno stabile ed effettivo collegamento tra gli organi politici e la società.
Al Cnel, infatti, sono stati affidati compiti rilevanti e strategici ovvero: consulenza ed elaborazione di pareri su richiesta del Parlamento, del governo e delle Regioni; predisposizione di testi con osservazioni e proposte sulle leggi che riguardano i maggiori temi della politica economica e sociale; certificazione della rappresentanza sindacale secondo l’importante accordo interconfederale del 2014, predisposizione di rapporti periodici, studi ed indagini sui temi dell’andamento della congiuntura economica, del mercato del lavoro, della contrattazione, dell’immigrazione e della lotta alla criminalità; contribuzione al dialogo sociale come previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
Presso il Consiglio sono istituiti anche specifici organismi come l’Onc (Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri) e il Comitato Cnel-Istat che elabora gli indicatori di progresso e di benessere. Come sappiamo, l’eliminazione di questo organismo rientra tra le riforme costituzionali che, tra qualche giorno, saranno sottoposte al vaglio referendario. Se dovesse vincere il Sì, il Cnel sparirebbe definitivamente.
La scelta di eliminare il Cnel anziché riformarlo (come suggerito dalle parti sociali) non comporta neppure una reale riduzione di costi della spesa pubblica. Negli ultimi anni vi è stato un ridimensionamento dell’organizzazione del Consiglio e della relativa spesa per i consiglieri. Mentre il costo del personale non sarebbe azzerato essendo previsto il passaggio dei circa 60 dipendenti presso gli uffici della Corte dei Conti con una spesa pari a 4/5 milioni di euro l’anno.
Inoltre sull’organizzazione, il numero dei consiglieri e il gettone di presenza, si sarebbe potuto intervenire con legge ordinaria (un disegno di legge di “autoriforma” del Consiglio era già stato presentato il 19.10.2011 ed è consultabile nella sezione documenti del sito).
E allora quale potrebbe essere la ragione di abrogazione del Cnel? Viene il sospetto che una ragione possa risiedere nel non voler leggere le relazioni e i pareri critici all’attività del governo o, peggio ancora, le richieste correttive delle manovre in atto.


Ad esempio, con la relazione depositata il 7 novembre, in occasione dell’audizione in Commissione congiunta Camera e Senato, contenente le osservazioni al disegno di legge del bilancio dello Stato per l’anno finanziario 2017 e per il triennio 2017-2019, il Cnel mette in discussione la credibilità degli effetti della manovra di politica economica proposta dal governo che si basa sulla crescita dell’economia mondiale (al 3,3%) e dei mercati esteri rilevanti (2,6%) che dovrebbe portare un incremento del Pil in misura dello 0,4% sul totale del 3,1% invece previsto.
Ma se la crescita non si verifica o se sarà inferiore quale copertura avranno le spese? Il Cnel suggerisce al governo di monitorare i cambiamenti sui mercati esteri e di mantenere un canale di comunicazione con la commissione Ue. E altri sono gli interrogativi che pesano nelle dieci pagine della relazione. La “manovra” di 27 miliardi è finanziata in deficit per più della metà dell’importo; in questo modo si spostano sulle generazioni future i relativi oneri.
Si evita l’aumento dell’Iva inserendo tra le coperture le misure di contrasto all’evasione fiscale che dovrebbero, invece, essere contabilizzate ex post. Ci si chiede, leggendo il rapporto del Cnel, come mai il governo non considera affatto l’obiettivo di finanziare la fornitura di servizi alle famiglie, come suggerito nel rapporto La famiglia come motore del rilancio del Paese (6 luglio 2016 in www.cnel.it)?
Come mai non tiene in considerazione, come base informativa, gli indici del progetto Benessere Equo e Sostenibile predisposto con l’Istat e concordato con le parti sociali (il rapporto Bes è pubblicato sul sito Istat)? E quale politica sociale il governo persegue con una manovra che abbandona la lotta alla povertà e alle disuguaglianze per le fasce di popolazione individuate nei rapporti Istat (anno 2015 del 14.7.2016) e Caritas (17.10.2016) e non prevede politiche per il Mezzogiorno e senza crescita per il Mezzogiorno non c’è crescita per l’Italia? E allora è forse proprio questo che il Governo vuole abrogare: la critica ragionata sui numeri, il dissenso, la verità…
Aurora Notarianni *Avvocato giuslavorista,( Il Fatto Quotidiano )

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