
Sono circa le nove di sera e sul Polibus ci sono ancora due persone in sala d’aspetto. Arriva una giovane donna: pantaloncini corti, maglietta nera che lascia scoperta una spalla, due grandi stelle tatuate sul collo, la testa quasi rasata. È bellissima.
È agitata, inquieta, la sua voce roca esce a fatica. Dopo l’accoglienza si va a sedere fuori, sotto al gazebo. Quando le chiediamo come possiamo aiutarla, racconta in modo confuso di essere caduta dal motorino, fa vedere la caviglia, mostra la nuca e il gomito dolente. Cerchiamo di aiutarla a ricostruire com’è andata, ma sappiamo che la versione che ci sta raccontando non è reale. Pian piano si tranquillizza, i lineamenti del viso si distendono e il racconto prende forma. È stata picchiata. Chiede qualcosa per attenuare il dolore, quello fisico: quello interiore è altra storia. È nigeriana. Si chiama Lara, ma ha anche un altro nome italiano. "In Nigeria ho una figlia, ha tredici anni". Nel nominarla le si illuminano gli occhi. Finita la visita scendiamo dal Polibus. Rimango con lei fino a quando mi saluta e si incammina lungo la strada deserta di Pescopagano. Un'automobile passa lentamente, spero non si fermi. -- Fernanda, infermiera sul Polibus a Castel Volturno |
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