martedì 14 agosto 2012

Liliana Segre e il marito Alfredo .



«So cos'è, mi disse vedendo il tatuaggio sul mio braccio. E io mi sentii capita, senza bisogno di dire niente». È il primo incontro di Liliana Segre - ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, - con Alfredo. «L'uomo che poi è diventato mio marito - racconta -. E senza il quale, forse, sarei diventata una di quelle donne che entrano ed escono dai manicomi, considerate "strane" dalle loro stesse famiglie».

«Al ritorno dal lager ero un animale ferito, diversa dalle mie coetanee, una ragazza goffa che non riusciva a integrarsi con gli altri e avvertiva in tutti un nemico - confessa -. Ma nonostante tanto orrore e solitudine, con Alfredo e per Alfredo sono riuscita di nuovo a dare e ricevere amore».
Estate del 1948. La Segre ha 18 anni. Dopo lo sterminio nazista vive con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Abita a Milano ma per le vacanze si sposta al mare, a Pesaro. «Uscivo sempre accompagnata, come si usava all'epoca - racconta -. E già il giorno del primo bagno l'ho conosciuto».

Poi però, ricorda, sono arrivate le emozioni delicate di una giovane donna - di una giovane donna qualunque, sottolinea -, di quell'età. Il primo bacio, dato scappando alla sorveglianza dei nonni, a pochi passi dall'hotel di Pesaro dove lei soggiornava. Gli appuntamenti clandestini nei caffè di Milano. Il fidanzamento ufficiale e il matrimonio. «Alfredo mi ha preso per mano, affascinato da me proprio perché ero così diversa da tutte le altre: più matura nella testa ma ingenua sentimentalmente, un bocciolo ancora tutto da schiudersi» confessa la Segre.
Il segreto: la solidità. «Non si è spaventato e non è scappato di fronte alla mia storia - dice Liliana -. Per me ha messo da parte i suoi stessi traumi di prigioniero. Sono stata sempre e solo io, in famiglia, la persona da proteggere».

( Da Il corriere della sera .it )

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