Quello, appunto, procurato dai capibastone calabresi come Giuseppe Spagnolo, Mario Filippelli e la famiglia De Novara, messi in contatto con Gesualdi tramite "don Misio", l'esponente locale di FdI Enzo Misiano, già condannato in primo grado a otto anni: al processo Krimisa lo aveva ribadito anche il 31enne Salvatore De Castro, il figlio che aveva convinto il boss Emanuele a collaborare con gli investigatori.
Dalle indagini dei carabinieri è emerso anche il ruolo di Mario Curcio, altro consigliere comunale di Fratelli d'Italia già entrato nelle inchieste ma non ancora indagato: era lui, secondo i carabinieri, a riferirei ai De Castro che Gesualdi "richiedeva il supporto elettorale della locale di 'ndrangheta", ottenendo il via libera del boss "alla raccolta di voti in suo favore", come si legge nel provvedimento. Oltre ai terreni per i parcheggi, la presunta moneta di scambio sarebbe stata il tentativo di dirottare un appalto di gestione dei campi sportivi di Ferno nelle mani di Mario Filippelli.
Assumono sostanza le frasi di Emanuele De Castro che gli investigatori dell'Arma avevano captato: "Prima che mi incazzo e poi va a finire che a questo lo devo veramente venire a prendere a schiaffi a sto sindaco - si era sfogato - prima ha chiesto, mo' chiediamo noi, ma io non sto facendo niente di illecito".
Poco dopo, Filippo Gesualdi - che aveva sempre negato ogni legame con le 'ndrine, fin dai primi arresti nel luglio 2019 - aveva commentato: "Allora gli ho detto a lui, quando m'ha chiamato col vigile, gli ho detto: vieni lunedì pomeriggio o mercoledì pomeriggio che c'è il tecnico. Andiamo dal tecnico insieme e ci andiamo a parlare. Io... più che dirgli questo, io...". ( LA REPUBBLICA )
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