mercoledì 29 aprile 2020

HANNO UN NOME I DISPERATI MORTI DI PASQUA

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Erano dodici. Morti come muoiono i dimenticati. Trascinati nell’abisso di un continente che volta le spalle. Sette sono affogati in mare. Cinque mentre venivano riportati in Libia. Erano dodici, ma non sono più un numero. Anche i morti hanno diritto a un nome. Ora possiamo darglielo, per sei di loro anche un volto: Omar, Mogos, Hzqiel, Hdru, Huruy, Teklay, Nohom, Kidus, Debesay e i tre Filmon. Erano tutti cristiani. Tranne uno, «il nostro fratello Omar», diranno i superstiti.
Hanno esalato l’ultimo respiro nella notte dopo la Pasquetta. Salpati da Sabratha tra il 9 e il 10 aprile, per tre giorni hanno atteso senza cibo il barcone dei trafficanti. Tre giorni con le armi puntate, per sperare di farcela, per dire addio alla morte in Libia e per sognare di arrivare nell’Europa cristiana nel giorno di Pasqua. ragazzi tra i 18 e i 25 anni, alcuni erano al secondo tentativo. Sapevano cosa vuol dire venire catturati dai libici e rimessi nelle mani dei torturatori. Stavolta un aereo di Frontex, l’agenzia europea per i confini, li aveva individuati. La posizione era stata trasmessa alle autorità italiane e maltesi, come ha precisato Frontex in una nota. Coordinate verosimilmente arrivate anche a Tripoli.
Per cinque giorni sono stati abbandonati alla deriva, nonostante le disperate richieste d’aiuto di Alarm Phone. Nonostante gli appelli della Chiesa maltese. Per cinque giorni nelle capitanerie si guardavano le cartine marittime. «Sono in acque maltesi», hanno spiegato da Roma. «No, sono in acque di ricerca e soccorso libiche», hanno risposto da Malta. Era Venerdì Santo, il giorno di Pilato. Quando da La Valletta, il martedì dopo Pasqua, è stato fatto partire un misterioso peschereccio, uno di quei navigli commerciali adoperati dalla flotta clandestina libico–maltese scoperta da Avvenire, sette di loro si erano gettati in acqua, con onde fino a due metri, per tentare di raggiungere «una grande nave», come l’hanno chiamata i sopravvissuti. ( Avvenire )

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