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REFERENDUM
COSTITUZIONALE DEL 4 DICEMBRE
SALVARE
DIFENDERE
REFERENDUM
IN UN PAESE SMARRITO
C’è uno smarrimento che pervade l’umanità, i rapporti sono
feriti. Tutti noi sentiamo questa inquietudine, questo sgomento che turba la
società civile; la gente soffre, ha perso i punti di riferimento, si sente
precaria, in balia di poteri e di forze che non può controllare. L’antipolitica
non è superficiale, è un pensiero profondo, perché viene da lì, viene da questo
sentimento di estraneità. Perfino la terra non è più affidabile: ci dicono che
se sale di due gradi la temperatura, non avremo più nemmeno la terra sotto i
piedi: ma la temperatura è già salita di oltre due gradi! Non si possono fare progetti.
Ebbene ora su questo smarrimento piomba la lacerazione del
referendum per cambiare la
Costituzione. A freddo, per un calcolo della casta politica,
il Paese viene frantumato tra il sì e il no alla Costituzione; si aggiunge
spaesamento a spaesamento, e si getta allo sbaraglio una cosa che ritenevamo
sicura. E lo si motiva con argomenti volgari. Sicché potremmo chiedere: “Che
cosa ti è successo Italia, se ti fai dire che cambiano la Costituzione per
diminuire le poltrone e per risparmiare al governo una fiducia?”. Questo
infatti ha detto Renzi aprendo la campagna per il Sì. C’è il bisogno e la
necessità di ritrovarsi in una “casa comune” Invece la stiamo facendo a pezzi. Rottamazione
significa questo: fare a pezzi ciò che, vivendo, era unito.
Ci sarebbe una bella
riforma da fare
Si dice però che la Costituzione era invecchiata. Va bene, allora
cambiamola. Ma si tratta di una Costituzione, cambiamola dunque per farci
grandi cose, per esempio mettiamoci che la pace non è solo un diritto, ma anche
un dovere, come sta scritto nella Costituzione della Colombia. Mettiamoci che
nei bilanci pubblici le spese sociali, le spese per la scuola, le spese per la
sanità, non devono mai scendere sotto una certa soglia, devono crescere man
mano che si riducono le spese militari, quelle della burocrazia e altre spese
improduttive. Mettiamoci il reddito di cittadinanza. Mettiamoci che le banche
servono agli Stati e non gli Stati alle banche. Mettiamoci che l’euro non vuol
dire che non siamo più sovrani sulle decisioni dell’economia e della finanza.
Mettiamoci che a Bruxelles decidono i popoli e non le troike. Mettiamoci
un’Europa unita nella giustizia e nel diritto, non nelle lacrime e sangue dei
disoccupati e dei poveri. E invece si butta a mare metà della Costituzione per
una riforma miserevole.
La minoranza
cancellata
L’articolo 138 dice che se la maggioranza assoluta dei due
rami del Parlamento cambia la
Costituzione senza raggiungere però i due terzi dei voti, la
minoranza, ovvero una minoranza di parlamentari, di Regioni o di cittadini,
hanno ancora una possibilità per opporsi attivando un referendum per
l’accettazione o il rifiuto della riforma. È chiaro dunque che il referendum
costituzionale è un’arma che dalla Costituzione è messa in mano alle minoranze,
in modo che sulle nuove regole possano davvero giocare tutte le loro carte le
diverse parti del Paese. Ma se la maggioranza, per di più eletta con la legge
che sappiamo, dopo aver dominato il Parlamento, gioca anche la seconda parte in
commedia, mettendosi al posto della minoranza e trasformando il referendum
predisposto ad uso della minoranza in plebiscito ad uso del governo, ciò
significa che nella concezione della democrazia della nuova Costituzione, la
minoranza non c’è.
Il potere come idolo
L’idolo è saltato fuori, e non nel campo di quanti
difendono la Costituzione
del ’48 ma nel campo di quelli che la vogliono rottamare. L’altare all’idolo è
la rottamazione stessa. Non ci sarebbe cosa più importante di questa: ce lo
chiede la gente – dicono – ce lo chiedono i mercati, ce lo chiede l’Europa,
basta un Sì e poi l’Italia riparte; e a questo supremo ideale tutto deve essere
sacrificato, non solo i duecento senatori, non solo il Senato, non solo il
pluralismo della rappresentanza immolato sull’altare dell’Italicum, ma la
stessa carriera politica del riformatore, il suo destino politico e quello
della sua squadra. Se non si vince, si va via. Il sacrificio sarà compiuto. E
poi, sottinteso, verrà la notte.
Se la riforma fosse la piccola riforma che si vuol far
credere, se fosse solo qualche milione risparmiato per Palazzo Madama, la casta
un po’ più leggera, una fiducia in meno e un po’ di fretta in più, questa messa
in scena non sarebbe credibile. Ci deve essere di mezzo qualche altra cosa, ci
deve essere quello che il No teme: l’arresto del ciclo della democrazia
costituzionale inaugurato nel ‘900, il ritorno a statuti di tipo autoritario,
poteri economici non vincolati da Stati di diritto, mercati non più turbati
dalla contestazione delle utopie politiche, la chiusura del cerchio della
globalizzazione monetarista. Insomma il potere nella sua versione postmoderna,
postilluminista e postrivoluzionaria.
Articolo tratto dalla rivista
QUALEVITA N. 168
Fotocopiato in proprio
COMUNITA’ DEMOCRATICA
Induno Olona TE. 0332 200286
EMILIO VANONI
Le alternative ci
sono
Se così stanno le cose quali sono le decisioni politiche da
prendere? La prima è di votare No nel referendum costituzionale
senza tenere affatto conto di qualsiasi cosa Renzi dica del proprio futuro.
L’altra decisione politica da prendere è su ciò che dobbiamo fare dopo il
referendum.
Ciò che il popolo sovrano deve stabilire è che non è vero
affatto che non ci siano alternative, ma che siamo noi stessi che le dobbiamo
determinare. Certo in un sistema giunto già a questo grado di desertificazione
della democrazia, è difficile vedere alternative già pronte.
Ma la decisione da prendere è appunto di ripopolare il
deserto, di ripiantare gli alberi divelti, di irrigare le terre inaridite, il
che vuol dire il ritorno dei cittadini alla politica, la reinvenzione dei
partiti o di altri strumenti di partecipazione e di intervento, l’attivazione
di nuovi coinvolgimenti di classi e culture diverse, la creazione di
laboratori, scuole e centri di formazione politica; vuol dire riconoscere che
un ciclo si è chiuso ma solo perché se ne deve avviare uno nuovo; ma per questo
occorre rimettersi in movimento, pensare cose non ancora pensate ma anche osare
cose già pensate e non attuate.
Si tratta di rifondare la democrazia, dare nuove regole al
potere, dare nuovi diritti e compiti ai cittadini, sapendo, come diceva Dossetti alla
fine della sua vita, che “la crisi
globale nella quale siamo immersi non può guarirsi in pochi anni o con qualche
trovata di qualche sistema elettorale, può guarirsi con un grande sforzo
collettivo di rieducazione e di riattivazione di tutto il tessuto sociale,
prima che dell’espressione politica”.
Raniero LA VALLE
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