venerdì 7 ottobre 2016

RFERENDUM -ARTICOLO DI RANIERO LA VALLE ...per il NO

NO
 
REFERENDUM  COSTITUZIONALE DEL 4 DICEMBRE

SALVARE
LA COSTITUZIONE
DIFENDERE
 LA DEMOCRAZIA

REFERENDUM IN UN PAESE SMARRITO



C’è uno smarrimento che pervade l’umanità, i rapporti sono feriti. Tutti noi sentiamo questa inquietudine, questo sgomento che turba la società civile; la gente soffre, ha perso i punti di riferimento, si sente precaria, in balia di poteri e di forze che non può controllare. L’antipolitica non è superficiale, è un pensiero profondo, perché viene da lì, viene da questo sentimento di estraneità. Perfino la terra non è più affidabile: ci dicono che se sale di due gradi la temperatura, non avremo più nemmeno la terra sotto i piedi: ma la temperatura è già salita di oltre due gradi! Non si possono fare progetti.
Ebbene ora su questo smarrimento piomba la lacerazione del referendum per cambiare la Costituzione. A freddo, per un calcolo della casta politica, il Paese viene frantumato tra il sì e il no alla Costituzione; si aggiunge spaesamento a spaesamento, e si getta allo sbaraglio una cosa che ritenevamo sicura. E lo si motiva con argomenti volgari. Sicché potremmo chiedere: “Che cosa ti è successo Italia, se ti fai dire che cambiano la Costituzione per diminuire le poltrone e per risparmiare al governo una fiducia?”. Questo infatti ha detto Renzi aprendo la campagna per il Sì. C’è il bisogno e la necessità di ritrovarsi in una “casa comune” Invece  la stiamo facendo a pezzi. Rottamazione significa questo: fare a pezzi ciò che, vivendo, era unito.

Ci sarebbe una bella riforma da fare
Si dice però che la Costituzione era invecchiata. Va bene, allora cambiamola. Ma si tratta di una Costituzione, cambiamola dunque per farci grandi cose, per esempio mettiamoci che la pace non è solo un diritto, ma anche un dovere, come sta scritto nella Costituzione della Colombia. Mettiamoci che nei bilanci pubblici le spese sociali, le spese per la scuola, le spese per la sanità, non devono mai scendere sotto una certa soglia, devono crescere man mano che si riducono le spese militari, quelle della burocrazia e altre spese improduttive. Mettiamoci il reddito di cittadinanza. Mettiamoci che le banche servono agli Stati e non gli Stati alle banche. Mettiamoci che l’euro non vuol dire che non siamo più sovrani sulle decisioni dell’economia e della finanza. Mettiamoci che a Bruxelles decidono i popoli e non le troike. Mettiamoci un’Europa unita nella giustizia e nel diritto, non nelle lacrime e sangue dei disoccupati e dei poveri. E invece si butta a mare metà della Costituzione per una riforma miserevole.

La minoranza cancellata
L’articolo 138 dice che se la maggioranza assoluta dei due rami del Parlamento cambia la Costituzione senza raggiungere però i due terzi dei voti, la minoranza, ovvero una minoranza di parlamentari, di Regioni o di cittadini, hanno ancora una possibilità per opporsi attivando un referendum per l’accettazione o il rifiuto della riforma. È chiaro dunque che il referendum costituzionale è un’arma che dalla Costituzione è messa in mano alle minoranze, in modo che sulle nuove regole possano davvero giocare tutte le loro carte le diverse parti del Paese. Ma se la maggioranza, per di più eletta con la legge che sappiamo, dopo aver dominato il Parlamento, gioca anche la seconda parte in commedia, mettendosi al posto della minoranza e trasformando il referendum predisposto ad uso della minoranza in plebiscito ad uso del governo, ciò significa che nella concezione della democrazia della nuova Costituzione, la minoranza non c’è.

Il potere come idolo
L’idolo è saltato fuori, e non nel campo di quanti difendono la Costituzione del ’48 ma nel campo di quelli che la vogliono rottamare. L’altare all’idolo è la rottamazione stessa. Non ci sarebbe cosa più importante di questa: ce lo chiede la gente – dicono – ce lo chiedono i mercati, ce lo chiede l’Europa, basta un Sì e poi l’Italia riparte; e a questo supremo ideale tutto deve essere sacrificato, non solo i duecento senatori, non solo il Senato, non solo il pluralismo della rappresentanza immolato sull’altare dell’Italicum, ma la stessa carriera politica del riformatore, il suo destino politico e quello della sua squadra. Se non si vince, si va via. Il sacrificio sarà compiuto. E poi, sottinteso, verrà la notte.
Se la riforma fosse la piccola riforma che si vuol far credere, se fosse solo qualche milione risparmiato per Palazzo Madama, la casta un po’ più leggera, una fiducia in meno e un po’ di fretta in più, questa messa in scena non sarebbe credibile. Ci deve essere di mezzo qualche altra cosa, ci deve essere quello che il No teme: l’arresto del ciclo della democrazia costituzionale inaugurato nel ‘900, il ritorno a statuti di tipo autoritario, poteri economici non vincolati da Stati di diritto, mercati non più turbati dalla contestazione delle utopie politiche, la chiusura del cerchio della globalizzazione monetarista. Insomma il potere nella sua versione postmoderna, postilluminista e postrivoluzionaria.






Articolo tratto dalla rivista
QUALEVITA   N. 168


Fotocopiato in proprio
COMUNITA’ DEMOCRATICA
Induno Olona TE. 0332 200286
EMILIO VANONI

Le alternative ci sono
Se così stanno le cose quali sono le decisioni politiche da prendere? La prima è di votare No nel referendum costituzionale senza tenere affatto conto di qualsiasi cosa Renzi dica del proprio futuro. L’altra decisione politica da prendere è su ciò che dobbiamo fare dopo il referendum.
Ciò che il popolo sovrano deve stabilire è che non è vero affatto che non ci siano alternative, ma che siamo noi stessi che le dobbiamo determinare. Certo in un sistema giunto già a questo grado di desertificazione della democrazia, è difficile vedere alternative già pronte.
Ma la decisione da prendere è appunto di ripopolare il deserto, di ripiantare gli alberi divelti, di irrigare le terre inaridite, il che vuol dire il ritorno dei cittadini alla politica, la reinvenzione dei partiti o di altri strumenti di partecipazione e di intervento, l’attivazione di nuovi coinvolgimenti di classi e culture diverse, la creazione di laboratori, scuole e centri di formazione politica; vuol dire riconoscere che un ciclo si è chiuso ma solo perché se ne deve avviare uno nuovo; ma per questo occorre rimettersi in movimento, pensare cose non ancora pensate ma anche osare cose già pensate e non attuate.
Si tratta di rifondare la democrazia, dare nuove regole al potere, dare nuovi diritti e compiti ai cittadini, sapendo, come diceva Dossetti alla fine della sua vita, che “la crisi globale nella quale siamo immersi non può guarirsi in pochi anni o con qualche trovata di qualche sistema elettorale, può guarirsi con un grande sforzo collettivo di rieducazione e di riattivazione di tutto il tessuto sociale, prima che dell’espressione politica”.

Raniero LA VALLE


 



Nessun commento:

Posta un commento

LASCIA UN TUO COMMENTO